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L'approccio umanistico

La visione umanistica del Counseling PsicoCorporeo Relazionale nasce grazie al contributo di autori come Carl Rogers e Rollo May, fondatori, insieme ad Abraham Maslow e altri, della Psicologia umanistica, la cosidetta “terza forza” che negli anni ’40 ha preso le distanze da psicoanalisi e comportamentismo, rivoluzionando il modo di stare nella relazione d’aiuto. Leggiamo nello statuto dell’“American Association for Humanistic Psychology” fondata nel 1962: “Come ‘terza forza’ della psicologia contemporanea, (la psicologia umanistica) si interessa di argomenti che hanno avuto uno spazio limitato nelle teorie e nei sistemi esistenti: ad esempio, amore, creatività, sé, crescita, organismo, bisogno fondamentale di gratificazione, autorealizzazione, valori superiori, essere, divenire, spontaneità, gioco, umorismo, affetto, naturalezza, calore, trascendenza dell’io, oggettività, autonomia, responsabilità, significato, fair-play, esperienza trascendente, esperienza culminante, coraggio e concetti relativi.”

Carl Rogers, considerato il padre fondatore del Counseling, offre un modello teorico di relazione d’aiuto basato su alcuni punti cardine:

l’approccio non direttivo centrato sulla persona: partendo dall’assunto che ogni individuo possiede la capacità di auto-comprendersi, migliorare e trovare soluzioni alle proprie difficoltà, il counselor non consiglia, non suggerisce al cliente cosa secondo il suo punto di vista dovrebbe o potrebbe fare, ma lo aiuta a porsi quelle domande che lo facilitano nell’esplorazione dei propri vissuti e dei suoi significati al fine di aiutarlo ad aiutarsi, a trovare da sé le risposte alle sue domande, ad auto-orientarsi e auto-determinarsi.

Scrive Rogers: “Non vi è una teoria preconcetta alla quale doversi adattare, alla quale dover cercare di corrispondere. Non vi è una verità oggettiva a cui dover fare riferimento, l’unica verità è il vissuto della persona in difficoltà. Secondo questo pensiero, ogni individuo è l’unico a possedere la chiave di se stesso, ossia la propria consapevolezza di sé e quindi le risposte alle proprie domande e le soluzioni dei propri problemi.”

il concetto di tendenza attualizzante: ogni essere umano possiede in sé la capacità innata di orientarsi verso l’attuazione delle proprie potenzialità. “Abbiamo a che fare con un organismo che è sempre motivato, è sempre intento a qualcosa, che cerca sempre qualcosa. La mia opinione è che c’è nell’organismo umano una sorgente centrale di energia, e che tale sorgente è funzione di tutto l’organismo, non solo di una sua parte. Il modo migliore per esprimerla con un concetto è di definirla tendenza al completamento, all’attualizzazione, alla conservazione ed al miglioramento dell’organismo”.

la fiducia: partendo dalla visione umanistica e positiva dell’uomo come un essere che non è fatto solo di problemi, limiti, conflitti, patologia, ma che è prima di tutto “sano”, possiede risorse, capacità, qualità e potenzialità, la fiducia è uno degli atteggiamenti interiori alla base di qualsiasi relazione d’aiuto e significa credere nelle proprie e altrui risorse. ”Gli individui hanno in sé stessi ampie risorse per auto-comprendersi e per modificare il loro concetto di sé, gli atteggiamenti di base e gli orientamenti comportamentali. Queste risorse possono emergere quando può essere fornito un clima definibile di atteggiamenti psicologici facilitanti.”

l’accettazione: accettare l’altro per quello che è, con le sue esperienze e i suoi vissuti, non significa necessariamente condividere o approvare idee, opinioni o sentimenti diversi dai propri, ma riconoscere all’altro la libertà di provarli perché, come dice Rogers, “Esiste un curioso paradosso: quando mi accetto così come sono, allora posso cambiare.” *

la sospensione del giudizio: per riuscire ad accettare l’altro per quello che è il counselor si allena giorno dopo giorno a sospendere il giudizio, a non interpretare i vissuti, le reazioni emotive, i comportamenti, i pensieri del cliente secondo il proprio metro di misura, ma a comprendere insieme al cliente quali sono le relazioni esistenti tra di essi. Scrive Rogers: “Prima di esprimere il vostro punto di vista, sarebbe necessario assimilare il quadro di riferimento dell’altra persona, comprendere i suoi pensieri ed i suoi sentimenti sino al punto di riassumerli in vece sua. Se farete questo tentativo, scoprirete che è una delle cose più difficili che abbiate mai tentato di fare. Tuttavia quando sarete stati capaci di vedere il punto di vista dell’altro i vostri ulteriori commenti dovranno essere rivisti radicalmente. Decentrati da voi stessi e centrati sull’altro, vi metterete in gioco, rifiutate uno stato di oggettività che vi permetterebbe di considerarvi come al di fuori dell’interazione. Solo così il dialogo diventa vera comunicazione.”

l’empatia: la capacità di sintonizzarsi e comprendere gli stati emotivi e cognitivi del cliente, di  considerare e vedere le cose dal suo punto di vista, al fine di “rispecchiarlo” per favorire in lui una maggior autoconsapevolezza e autoaccettazione. Scrive Rogers: “Mettersi nei panni della persona, non giudicarla, non valutarla, accettare la sua unicità e individualità, non dirigerla, non dirle cosa fare, ma ascoltarla affinché apprenda ad ascoltarsi, per comprendersi e gestire da sé, in modo autonomo, le sue difficoltà”

genuinità e congruenza: Rogers sostiene che “qualsiasi  sentimento o atteggiamento io stia sperimentando, dovrà essere accompagnato dalla consapevolezza di esso”. …essere congruente vuol dire “essere disponibile ai propri sentimenti, essere perciò capace di viverli, di essere in rapporto con loro e di comunicarli, se è opportuno”.

E continua: “Ho trovato che più posso essere genuino nella relazione, più posso dare aiuto. Questo significa che devo essere cosciente dei miei propri sentimenti, per quanto è possibile, piuttosto che presentare l’apparenza esterna di un atteggiamento, mentre in realtà sento un’altra attitudine a un livello più profondo o inconscio. Essere genuino inoltre include la volontà di essere ed esprimere, col mio comportamento e con le mie parole, i vari sentimenti e modi di essere che esistono in me. È solo in questo modo che la relazione può essere reale, e la realtà sembra essere profondamente importante come prima condizione”.

Essere genuini nella relazione implica congruenza: è la corrispondenza fra quello che si pensa e si sente ed il proprio comportamento.

autenticità e trasparenza: sono due facce della stessa medaglia e strettamente connesse con i principi di genuinità e congruenza. Nella misura in cui sarò genuino, me stesso nella relazione, senza nascondermi dietro il “ruolo” che ho come counselor e cercherò al contempo di essere congruente, consapevole di ciò che sto provando, allora sarà anche autentico. L’altra faccia della medaglia, la trasparenza, riguarda il fatto che il counselor possa rendere manifesto al cliente ciò che vive, sente, pensa in relazione a quanto da egli condiviso, se e solo se rilevante e facilitante per la relazione.

L'approccio bioenergetico

La bioenergetica si sviluppa in due filoni: il filone psicoterapeutico chiamato Analisi bioenergetica che è quello originario, e il filone psicopedagogico che interessa la formazione in  counseling  psicocorporeo relazionale.

L’applicazione psicopedagogica della bioenergetica è una modalità di lavoro con il corpo attraverso un insieme di esercizi che hanno il primario obiettivo di mettere in contatto chi li pratica con il proprio corpo e sviluppare l’esperienza soggettiva di propriocezione.

Nella dinamica di gruppo si esplica nelle cosiddette classi di esercizi (gruppi di lavoro che durano circa un’ora e mezza) durante le quali le persone sono invitate ad entrare in contatto con se stesse attraverso il corpo: prima di tutto con le proprie espressioni energetiche e fisiche, e poi anche emotive, mentali, immaginative, espressive, relazionali.

La funzione energetica serve a sentire quello che c’è nel presente della propria esperienza di autoascolto, a prendere contatto con la propria identità a partire dallidentità corporea.

Questa è la prima realtà, la prima verità soggettiva; che non è possibile ignorare perché solo partendo da queste informazioni l’individuo può comprendere cosa è necessario modificare, quanto e perché, e cosa è buono tenere.

La struttura della classe di esercizi porta in sé un importante principio bioenergetico, ovvero il ciclo di carica e scarica energetica. Vi è salute se si preservano entrambi i movimenti di carica e scarica, e se tra di essi c’è un equilibrio e un movimento libero dall’uno all’altro.

Alcune modalità di base sono:
– la gradualità nel contatto, nell’ascolto, nella mobilizzazione, etc…;
– la costante attenzione ad una respirazione consapevole per sostenere una migliore presa di contatto con il proprio sentire;
– le induzioni neutre a sostegno dell’auto-ascolto e dell’auto-osservazione non giudicante.

La persona recupera da sé le informazioni.

E’ sostenuta nel prendersi cura di sé, attraverso prima di tutto l’ascolto e l’osservazione dei propri vissuti energetici e fisici, e, successivamente, anche emotivi, mentali e relazionali.
L’obiettivo di base è che comprenda i propri meccanismi di funzionamento, soprattutto da un punto di vista energetico, sia nella produzione di energia che nella sua scarica, per scoprire come questi due movimenti siano profondamente connessi, come riesce a generare la sua vitalità. A questo livello il praticante vive l’esperienza di un’energia aumentata, cosa che gli consente di scaricare lo stress in eccesso, ma anche di imparare a far fronte agli stress ulteriori che la quotidianità gli pone.

Alcuni obiettivi:
– aumentare l’energia a disposizione della persona;
– alimentare il senso della sua identità, a partire dal radicamento con il proprio corpo;
– sostenere la capacità di lasciar andare e parallelamente di contenere (= tenere con sé);
– imparare a stare con sé, nella gradualità e nella continuità (darsi tempo e spazio);
– prevenire lo stress e imparare ad autoregolarsi;
– promuovere il processo di salute (salutogenesi).

L'approccio gestaltico

Il Counseling PsicoCorporeo Relazionale integra anche i contributi di Fritz Perls, fondatore della Psicoterapia della Gestalt.

Gestalt in tedesco significa “forma” e il verbo gestalten significa “mettere in forma” o “dare una struttura”. Uno degli obiettivi del counseling è quindi anche quello di aiutare la persona a dare una forma e una struttura ricca di significato ai vissuti personali.

La visione fenomenologica della Gestalt, così come quella della Psicologia Umanistica, da validità al dato “ingenuo” fornito direttamente dalla realtà percepita dal soggetto e al significato personale che egli attribuisce alla sua esperienza.

Nella sua Teoria del Sé, Perls introduce il concetto di autoregolazione del sé in relazione all’ambiente come un processo in continuo divenire, sempre dinamico e mutevole che può essere portato a consapevolezza dal soggetto solo nel qui e ora: “La consapevolezza è sempre legata all’esperienza presente.

Non possiamo assolutamente essere consapevoli del passato e del futuro.

Siamo consapevoli di ricordi, di aspettative e di progetti per il futuro; ma ne siamo consapevoli qui-e-ora. La consapevolezza decisiva è quella dell’unicità. Sperimentiamo noi stessi come qualcosa di unico, a prescindere dal fatto che ci piaccia chiamarlo personalità oppure anima oppure essenza.

E siamo consapevoli di essere sempre consapevoli di qualcosa di diverso, di essere in un luogo diverso in ogni momento diverso.” (Perls F., 1973)

L’autoregolazione avviene attraverso un meccanismo omeostatico denominato di figura-sfondo, meccanismo nel quale continuamente emerge in figura una necessità che mette il resto sullo sfondo, trova la soluzione e porta in figura altre necessità da affrontare.

Le ricerche della psicologia della Gestalt sulla percezione, in particolare, dimostrarono come degli innumerevoli stimoli che costantemente riceviamo, solo alcuni di essi vengono selezionati ed organizzati in strutture significative, o Gestalt, che emergono a figura rispetto ad uno sfondo indifferenziato.

Il concetto di sfondo/figura assume quindi un importante significato nell’aiutare la persona ad esplorare oltre a ciò che emerge a figura (ciò che cattura di più la mia attenzione) anche lo sfondo (il contesto, lo sfondo emotivo, le condizioni che hanno portato a quella data situazione, i retropensieri, le convinzioni e le credenze).

A partire da una visione sistemica in cui “il tutto è maggiore della somma delle sue parti”, se si vuole comprendere un comportamento o una dinamica di relazione, è importante, oltre che esplorarli, averne una visione di sintesi, ovvero cercare di percepirlo nell’insieme del contesto globale.

Nel Counseling PsicoCorporeo Relazionale questo implica che i significati che emergono al termine dell’esplorazione dei vissuti interiori della persona (in termini emotivi, cognitivi, corporei, immaginativi) risulteranno essere ben più profondi della semplice somma delle singole parti, permettendo alla persona di creare unità di senso dentro se stessa.

L'approccio cognitivo

A partire dagli studi di J. Piaget fino alle più avanzate ricerche nel campo del cognitivismo, l’interesse di Olos si è focalizzato sullo studio dei processi di funzionamento, di disfunzione e di cambiamento umano nella prospettiva dialettica (il cui fine è quello di unificare i sistemi con cui l’individuo elabora i dati) e costruttivista (approccio che coinvolge gli individui in un apprendimento attivo; lavora su progetti che consentono un controllo della propria attività e quindi l’innescarsi di meccanismi di feedback importantissimi al rinforzo delle strutture motivazionali).

Con particolare attenzione ai seguenti temi:

1. l’attenzione, quale risorsa per produrre nuove consapevolezze e nuovi significati;

2. l’elaborazione dei processi cognitivi automatici e la loro influenza sull’esperienza cosciente, sul pensiero e il comportamento;

3. l’organismo, quale elaboratore di informazioni a più livelli coscienti e non, seriale e in parallelo;

4. la memoria, quale processo dinamico e ricostruttivo dell’esperienza utile per la risoluzione di problemi e una visione differenziata dell’esperienza;

5. la metacognizione, quale processo di riflessione sulle percezioni e i pensieri, nella creazione di nuovi significati;

6. l’immaginazione, la visualizzazione, il sogno.

L’importante contributo relativo allo studio del sistema di pensiero dell’uomo e di come questo influenzi le risposte emotive e comportamentali dello stesso deriva dagli studi di Albert Ellis e Aaron Beck, padri fondatori di quella che oggi è la Psicologia Cognitiva.

Nel lavoro coi suoi pazienti, Beck cominciò a notare come tipicamente ad ogni disturbo, malessere o disagio della persona corrispondessero dei pensieri negativi: idee negative su se stessi, sul mondo e sul futuro.

Questo tipo di cognizioni, chiamate “pensieri automatici, provocano distorsioni cognitive ovvero errori che si commettono nella lettura e nell’interpretazione della realtà, generando stati emotivi e comportamenti inappropriati o negativi.

Notò anche come dietro questi pensieri automatici, a carattere più estemporaneo e più legati all’esperienza presente, ci fossero delle “credenze” sviluppate e consolidate nel tempo.

Insieme ad Ellis svilupparono una metodologia di intervento, chiamata Tecnica ABC, per rendere la persona consapevole di come i suoi pensieri di valutazione degli eventi che accadono in una certa situazione determinano le emozioni spiacevoli che prova.

La tecnica, molto semplice nella sua applicazione, aiuta la persona a prendere coscienza di cosa è successo, quali sono gli antecedenti che hanno portato a quell’evento, cosa ha provato in termini emotivi, come ha agito o reagito in termini comportamentali e quali erano i pensieri che aveva in quel momento.

Attraverso una fase di “riflessione” sul proprio sistema di pensieri si aiuta la persona a capire da dove questi possano arrivare, da che tipo di credenza più generale possano nascere e, attraverso opportune domande, a metterli in discussione per eventualmente poi scegliere di modificarli.

Nel Counseling PsicoCorporeo Relazionale questo tipo di tecnica è stata rivista ed ampliata con ulteriori passaggi di integrazione e di connessione e viene utilizzata all’interno del colloquio come strumento di approfondimento e focalizzazione sul mondo cognitivo della persona.

Altri contributi

LA PRAGMATICA DELLA COMUNICAZIONE UMANA

La Scuola di Palo Alto in California ha condotto una serie di studi sulle dinamiche comunicative. Il suo principale contributo è stato quello di dimostrare come la qualità di una relazione dipende dalla qualità della comunicazione e viceversa.

E’ quindi possibile comprendere quali siano gli equilibri in gioco in una relazione attraverso l’osservazione delle interazioni verbali e non verbali.

Gli autori attingono alla cibernetica, la disciplina che studia i processi di autoregolazione e comunicazione degli organismi naturali e dei sistemi artificiali, adoperando il concetto di “retroazione”, secondo cui “parte dei dati in uscita sono reintrodotti nel sistema come informazione circa l’uscita stessa”: ciò significa che ogni attore della comunicazione è contemporaneamente stimolo, risposta e rinforzo dell’interazione .

I 5 assiomi della Pragmatica della Comunicazione Umana di Paul Watzlavick offrono un modello teorico di riferimento grazie al quale è possibile “osservare”,  “conoscere” e “riconoscere” il proprio stile di comunicazione, valorizzandone le risorse e le abilità già sviluppate per poi prendere consapevolezza di quali siano le proprie aree di miglioramento.

Ancora, favorendo la consapevolezza e la riflessione, permettono di sviluppare strumenti di lettura e di intervento nelle dinamiche relazionali.

 

LE PIÙ RECENTI ACQUISIZIONI DELLE NEUROSCIENZE

I neuroni specchio: la base neuro-fisiologica dell’empatia

Il gruppo di ricerca dell’Università di Parma, coordinato dal Prof. Giacomo Rizzolati, negli anni ’90 ha scoperto e poi studiato a lungo i neuroni specchio, neuroni che si attivano indifferentemente quando una persona compie un’azione o quando la persona osserva (o percepisce) la medesima azione compiuta da un altro soggetto.

Quello che accade è che le informazioni sensoriali captate vengono trasferite al sistema motorio dell’osservatore, permettendogli così di avere una copia motoria del comportamento osservato, quasi fosse lui stesso ad eseguirlo.

Ecco perchè lo specchio: perchè questi neuroni compiono questa trasformazione dell’azione da un formato sensoriale a uno motorio fedele a quello percepito.

Se è vero che questo avviene quando si osserva un gesto o un’azione, è altrettanto vero che ciò accade anche quando si percepisce il tono della voce, lo sguardo, la postura, la mimica facciale del proprio interlocutore: i neuroni specchio si attivano e permettono di percepire il mondo dell’altro come se fosse il proprio.

Questo è il processo neuro-psicologico alla base dell’empatia.

La ricerca quindi dimostra che ognuno di noi nasce con un substrato anatomo-funzionale atto a sviluppare capacità empatiche e conferma quanto sostenuto empiricamente da diversi autori rispetto alle modalità attraverso le quali è possibile “creare” un clima di relazione empatico.

Quanto questa capacità viene sviluppata nell’arco della vita può  dipendere da fattori culturali, educativi ed ambientali e può essere sviluppata attraverso l’allenamento delle capacità di osservazione del linguaggio non verbale del proprio interlocutore, attraverso esperienze di risonanza emotiva/affettiva e attraverso l’utilizzo di un linguaggio empatico, rispettoso, attento e accogliente.

Per questo motivo, nella formazione in Counseling PsicoCorporeo Relazionale si da molto spazio all’apprendimento tramite sperimentazione diretta dell’utilizzo di una vasta gamma di “tecniche di ascolto attivo”.

MOLECOLE DI EMOZIONI

Candace Pert, Neurofisiologa, autrice del libro “Molecole di emozioni”, direttrice del centro di biochimica cerebrale del NIMH, National Institute for Mental Health, è una delle più importanti figure nell’ambito della ricerca internazionale sul cervello: ha infatti scoperto le endorfine e un vasto numero di neuropeptidi, le molecole che trasmettono le informazioni nel sistema nervoso. La scoperta nella quale si è imbattuta è che questi neuropeptidi non sono presenti solo a livello cerebrale, ma vengono prodotti anche dagli organi interni, dal sistema immuniatrio e addirittura dal midollo osseo. Dal momento che questi neuropeptidi sono sono molecole informazionali, ciò dimostra come ogni sistema del nostro organismo sia in collegamento e comunicazione con gli altri e ne influenzi l’attività.

Queste scoperte l’hanno candidata al Nobel per la medicina, ed hanno creato una sorta di rivoluzione nel modello di essere umano della medicina ufficiale: la mente non è più riconducibile al solo cervello, ma va intesa come flusso di informazioni che scorre attraverso le cellule, gli organi, gli apparati, in definitiva tutto l’organismo.

La mente ha quindi un substrato fisico, che si identifica tanto con il corpo quanto con il cervello.
La mente è allora ciò che tiene insieme la rete, agendo spesso al di sotto della coscienza, collegando e coordinando i sistemi principali, con i relativi organi e cellule.

L’intero sistema organismo può essere allora definito come una rete psicosomatica di informazioni che unisce la psiche, comprendente chiaramente tutto ciò che è di natura non materiale, come mente, emozioni, anima, con il soma.

I neuropeptidi vengono definiti da Candace Pert come “molecole di emozioni” e “quello che sperimentiamo come emozione è un meccanismo per attivare un particolare circuito neuronale contemporaneamente nel cervello e nel corpo: i peptidi servono a unire gli organi e gli apparati dell’organismo in una rete unica che reagisce ai cambiamenti, interni o esterni che siano, con modificazioni complesse e orchestrate in modo sottile. Per usare una metafora, il nostro organismo è come un’orchestra, formata da vari strumenti (organi e apparati) che suonano tutti le stesse note musicali (neuropeptidi) solo con fraseggi diversi: la musica che ne risulta è ciò che sperimentiamo soggettivamente sotto forma di emozioni.”

Quando le emozioni vengono vissute, espresse, i peptidi, le sostanze alla base delle emozioni fluiscono liberamente e abbiamo l’equilibrio del sistema. La repressione cronica di alcune emozioni, invece, sfocia in un grave disturbo della rete psico-somatica. Ecco perché la salute non consiste semplicemente nell’avere “pensieri felici”. A volte l’impulso più potente verso la guarigione può venire da uno scatto d’ira repressa da tempo, che attiva ad esempio il sistema immunitario.

Tutto questo ha delle notevoli ricadute anche su ciò che accade quando entriamo in empatia: non solo si attivano i neuroni specchio, ma tutto il nostro organismo “risuona” producendo e rilasciando quei neuropeptidi che cominciano a diffondersi nella “rete” permettendoci di “sentire” e non solo di “supporre” ciò che sta sentendo l’altro.

Queste iniziali scoperte hanno portato poi molti scienziati ad approfondire le ricerche e a confrontarsi sugli ulteriori dati raccolti, dando vita a quella che oggi è conosciuta come PsicoNeuroEndocrinoImmunologia (PNEI): moderna branca della medicina che studia le relazioni esistenti tra emozioni, comportamento, risposta neuroendocrina agli stimoli dell’ambiente esterno o provenienti dallo stesso organismo e attivazione del sistema immunitario. Quello che emerge è la dimostrazione scientifica di quanto teorizzato già tempo prima da molti autori rispetto all’unità funzionale psiche-soma: ogni parte è in relazione con le altre e influenza l’intero sistema.

Così ad esempio le emozioni influenzano funzioni corticali superiori come il pensiero, la memoria, l’apprendimento, alterano la risposta immunitaria e la secrezione ormonale con ripercussioni a cascata su tutta la fisiologia del corpo.

Ne consegue un nuovo concetto di salute emotiva, secondo il quale le emozioni del soggetto hanno tutte diritto di cittadinanza, hanno bisogno di poter essere contattate, riconosciute ed espresse.

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